LA CONGIURA
da Giulio Cesare
di William Shakespeare
drammaturgia e regia Laura Angiulli
con
Paolo Aguzzi, Giovanni Battaglia, Alessandra D’Elia, Luciano Dell’Aglio, Stefano Jotti, Antonio Marfella, Pietro Pignatelli
ambientazione Rosario Squillace
disegno luci Cesare Accetta
assistente stagista Martina Gallo
Ispirata in parte all’esposizione che ne fa Plutarco in VITE PARALLELE, nell’opera di William Shakespeare l’immagine del grande Cesare, dell’infallibile condottiero, si svuota di gloria e di potenza nelle notazioni volutamente malevole dei personaggi complementari, piuttosto che nella costruzione dell’immagine del personaggio stesso, rapidamente illustrato e portato a morte nello sviluppo dell’opera già nella prima parte del terzo atto. Così che, di tutta funzionalità -al fine della congruenza della trama- risultano le circostanziate sue fragilità, citate con malcelata inimicizia dagli avversari, e protese allo svilimento della di lui figura. Nessuna citazione delle gesta militari delle conquiste e dell’ampliamento dei confini dei territori, del rafforzamento della consistenza dello Stato romano: Cesare viene descritto come un piccolo uomo, mezzo sordo, piagnucoloso, affetto dal “mal caduco”, soggetto a superstizioni di basso profilo. Il ruolo di primo piano va al tema della congiura e dei personaggi che la ordiscono, su istigazione di
Cassio, ma anche di Bruto arreso all’azione omicida nel nome di una presunta “libertà”, per quest’ultimo non senza un faticoso dissidio tra sentimento e ragione; accanto ai protagonisti dell’evento si aggiungono numerosi personaggi, per l’appunto i congiurati, che con rapida presenza s’affacciano al dramma, per lasciare poi nel sanguinoso epilogo i due fratelli, principali autori dell’assassinio di Cesare. Si aggiunge Porzia, in prima scena in sofferente condivisione con le sorti del marito Bruto, successivamente insofferente spettatrice dei rivolgimenti politici in Roma, quindi tragicamente portata alla morte. Ma nel complesso dell’opera – ed è questo forse il punto di maggiore interesse-si disegna e si rappresenta con ogni conseguenza dell’evidente declino quella Roma flagellata da lotte-uccisioni-corruzione, nel corpo della classe dirigente dello Stato. Al proposito, si riportano con interesse le parole tratte dall’introduzione di Agostino Lombardo all’opera edita da Feltrinelli, che si suggerisce di leggere nella sua interezza per una molto apprezzabile illustrazione critica: “Un mondo oscuro, sfuggente, problematico e senza coerenza .. un mondo che l’uomo (e cioè l’uomo moderno) deve ormai affrontare con le proprie forze e al quale deve tentare di dare un significato senza appoggiarsi a un universo di dei… L’uomo copernicano, l’uomo della riforma.. è solo con la propria ragione e la propria coscienza e scienza: solo come Bruto di fronte al problema dell’uccisione di Cesare” (Agostino Lombardo) E nel personaggio-Bruto s’incarna, nella suggestione dell’autore, la crisi dell’Inghilterra elisabettiana percepita nel travaglio di un passaggio politico dalle conseguenze oscure. Non sembri insensato il rintracciare nel complesso intreccio dell’opera, e dei temi cui s’affida, anche le tracce degli elementi nei quali si coagulano la sofferente stagione del nostro presente e le incerte soluzioni per il tempo a venire.
D’altra parte nella storia degli uomini e delle nazioni il tema della congiura ricorre e si richiama, pure nella diversità dei casi, in ineluttabile cadenza con le medesime premesse e gli stessi epiloghi,
le stesse aspettative, le stesse illusioni, le stesse morti: quale che sia il mutamento che nella sfera politica possa derivarne, il medesimo destino è solito portare a rovina gli ispiratori/autori del gesto sanguinoso, e colui che ne è vittima.
In accompagnamento allo sviluppo dell’opera shakespeariana, alcuni frammenti dal De Republica di Cicerone disegnano con preziosa testimonianza il dibattito politico-filosofico che proprio nei
giorni in cui la congiura fu ordita e realizzata si presume abbia animato i circoli letterari di Roma; d’altra parte lo stesso Cicerone non dovette essere estraneo alla congiura, almeno in termini di precoce conoscenza dei fatti, tanto da pagare con la vita -forse per l’errata valutazione della potenza di Ottaviano – la sua scarsa adesione al nascente impero.