IL MERCANTE DI VENEZIA
da William Shakespeare
drammaturgia e regia Laura Angiulli
con
Paolo Aguzzi, Giovanni Battaglia, Alessandra D’Elia, Antonio Marfella, Michele Danubio, Caterina Pontrandolfo, Antonio Speranza, Fabiana Spinosa
impianto scenico Rosario Squillace
luci Cesare Accetta
illuminotecnica Lucio Sabatino
direttore di scena Flavia Francioso
aiuto elettricista Luca Sabatino
Opera straordinaria, nella leggerezza solo fittizia della fabula tesse un nodo drammatico che ne attraversa senza soluzione la materia compositiva. Senza soluzione, si diceva, perché nell’apparente happy end della vicenda resta aperto con inalienabile amarezza il versante etico dell’opera, sollevando incertezze proprio su quella felicità che nelle conclusioni di una commedia dovrebbe spartirsi fra tutti, e che in questo caso invece lascia aperto sul campo un dibattito impossibile a definirsi sul come, nel rovesciamento dei canoni della logica corrente, il carnefice venga infine a trovarsi vittima. Quindi “IL MERCANTE” è costruzione complessa, e sembra sfuggire a una precisa definizione di genere, perché se è vero che pare muovere nell’agile evolvere della leggerezza tutto quanto attiene all’universo di Portia - desiderio amore astuzia travestimento, e ancora una volta nell’accorta capacità d’impresa del personaggio femminile, l’abilità di portare a buon fine gli eventi -, per contro, in un rituale che come che sia richiama il sangue, lievita il versante oscuro, di Shylock e del drammatico epilogo della di lui sorte, irrimediabilmente condotta a mortificazione e sventura. Né si esclude dal contesto problematico la figura di Antonio, sfumata nella velatura dell’amore infelice per l’amico Bassanio, al cui benessere dedica attenzioni e disponibilità ben oltre il suo stesso interesse, fino al rischio di morte. Scenario d’eccezione Venezia, universo ricco e animato. Nella tessitura dell’opera, accanto all’episodio del vecchio ebreo, che evidentemente è motore stesso della scrittura, convergono segmenti narrativi molteplici, e molteplici figure che complessivamente disegnano un luogo, e soprattutto un mondo fatto di commerci, traffici, scambi, denari e atteggiamenti e culture, che dicono di terre lontane preziose come sete e inebrianti come spezie ; suggestioni, sollecitazioni dell’immaginario che con le tante merci dovevano sbarcare nelle rade veneziane dalle terre d’Oriente, ma che pure nell’attraversare l’opera si consolidano in tracce di vita concreta, col danaro che fa sentire tutto il peso che in effetti ha, nello sviluppo dei fatti, e che finisce col mercificare ogni situazione o legame, anche quelli dove il sentimento ha la sua forza e il suo spazio. Al centro della trama –inusuale e geniale invenzione drammaturgica - il “contratto”; accettato per burla e poi veramente giunto all’attenzione dell’autorità, che sancisce, quale eventuale pena per mancato soddisfacimento del concordato, una libbra del corpo del contraente Antonio. È evidente la distonia fra la modernità che richiama l’organizzazione economica della Venezia rinascimentale di palese impianto capitalistico - e che ben si rappresenta nell’opera fin dalle prime battute - e l’arcaismo del rituale imposto dal contratto. Occorrerà l’abile strategia di Portia che postasi in funzione di giurista, con spregiudicato travestimento, nell’avere invocata senza soluzione la mercy dell’ebreo, trascinerà la vicenda in ambito legale, fino all’impiego del diritto penale che, come che sia, nella cultura cristiana richiama al rispetto dell’integrità e della dignità del soggetto. E infine tra gli elementi tanti, così come s’addice a un’opera che certo nell’intento di partenza era stata concepita per raccogliere il favore di un pubblico popolare, l’amore - mentre il male oscuro di alcuni sembra già preannunciare il disfacimento della stabilità di un assetto storico-politico ormai al suo epilogo - trasporta la vicenda in acque più serene, si configura come luogo di possibile riparo, reclama il suo diritto fino al felice compimento delle nozze e offre un ulteriore versante alla scrittura, in funzionale sintonia con l’ipotesi della commedia. (Laura Angiulli)